quando apro gli occhi mi si aprono le vene

San Pietroburgo, 05.09

era la notte che non dormiva
un lento disfarsi dei suoni
della voce della sera
delle mani della sera
sempre più strette più bianche
sulla gola del cielo

era la notte l’ultimo singhiozzo
del cielo – e non dormiva
il suo occhio violaceo
rimase strappato sull’orlo del vestito
strappato sul muro azzurro dell’Ermitage
strappato sui fianchi anoressici della Neva
fra le labbra di ferro
della Neva

———-

qui è successo. la terra trema
di baci, qui hanno detto
la prima parola, la più vera
l’ultima. la terra qui trema
di sangue. qui è cominciata
la confessione – le ginocchia
che scricchiolavano come pistole
e le nuvole – spari nel cielo

la parola qui si inchinò alla notte
e la notte non venne…

qui sollevò tremante lo sguardo,
forte, la parola del popolo

————-

vendono fiori, vendono pesci
uccelli di legno per far giocare
i bambini, fazzoletti alle donne
per coprire la testa
entrare in chiesa

in chiesa respirano piano,
spariscono, con le dita lunghe
fredde puliscono l’icona
e quando sentono sanno
che nessuno le guarda
loro veloci, umilmente si chinano
a baciare le labbra del santo

————–

05.01.2020

Al freddo ci si abitua. Più paura
fa quell’ombra che ti segue
come un cane affamato
nell’incendio dei vigneti.
E’ sera, stai tornando
una voce impone
il tuo ritorno –
occorre il coraggio
del passo stanco
sulla strada mai battuta
dopo il sogno, l’incompiuto
respiro che chiuda il cerchio
E’ autunno, è sera
stai tornando

breve monologo per un attore dadaista

Monologo per ****, 2.11.2013

Non credo alle parole. Sono creature volubili, nervose, sensuali e dispettose. Quando una parola dice qualcosa, si può ben stare certi che voglia dire qualcos’altro. E nemmeno l’esatto opposto, sarebbe fin troppo prevedibile.. Alle parole invece piace cogliere di sorpresa. E se le si guarda bene, con molta attenzione, spesso si nota – da un paio di baffi che spuntano sopra una sciarpa femminile, una voce in falsetto, uno sguardo un po’ troppo sfuggente o qualche risatina nervosa di troppo – si nota che le parole amano camuffarsi, fingere, imbrogliare. Nulla è più soddisfacente per una parola del vedere come riesce a convincere chi l’ascolta. Prende sicurezza, si fa più sfacciata, si sente superiore. Ed è allora che il suo significato si fa convenzione. Suona così sicura che sembra impossibile dubitare di lei.. Ne hanno fregati tanti così! Quando si sta a sentire una parola troppo spesso, per non parlare di quando si dice una parola troppo spesso, va a finire che ci si crede, ed è finita. Le parole hanno vinto.

Spesso mi è stato detto, e con un tono quasi d’accusa, che Io sono un uomo eccentrico. Eccentrico! Questo termine è stato usato così tante volte nella storia delle parole, e io lo trovo così inesatto. Innanzitutto, presuppone un qui e un là, mentre a ben vedere non esistono né l’uno né l’altro, ma solo presenza e assenza. Lo spazio non è qualcosa di definibile e non ci si può definire in relazione allo spazio: siamo troppo invischiati in esso, parte, corpo e respiro di esso.. indivisibili. Non ci sono un dentro e un fuori! Ci sono un sento e un non sento, un “sì, posso ancora, resisto” e un “ora non riesco più, magari più tardi” quando l’essere indistricabilmente presenti ci fa davvero troppo male. Ma noi siamo, e in quanto siamo, sentiamo che i confini e i limiti che ci poniamo sono solo deboli recinzioni d’orgoglio, che avranno presto a cedere di fronte al sordo, pulsante farsi delle cose. Io sono un uomo eccentrico.. si presuppone una definitezza che è tutta verbale, e io già vi ho detto cosa ne penso di quei verbacci, preposizioni, sillabe. Tutto un grande imbroglio per farci credere di averle noi in mano le redini della vita – mentre inciampiamo nei nostri stessi sporchi e pesanti zoccoli!

Perciò pensate un po’ meno, la prossima volta che troverete strane le mie posizioni, il mio modo di toccare le cose, gli sguardi che lascio su di esse.. prima di parlare, pensate un po’ meno e ridete, piuttosto. Perché in fondo, cosa significa questo termine, davvero? Cosa significa essere io?

genesi (12.7)

non ci sarà più nulla
se non confini

attenderemo l’ora giusta
gli occhi da un orologio all’altro
lenti
in anticipo sui nostri venire meno

allora sapremo
la distanza che si misura
con i pollici premuti sul basso ventre
nella penombra tagliata
dal dorso dei libri

sapremo cos’era il non voglio dirlo
zitta
la materia che si faceva
secca a colpi più veloci
rapidamente
la paura rappresa agli angoli degli occhi
e il cadere
il non poter rimanere soli

tutto si farà più chiaro
sillaberanno le persiane
all’inizio della notte
tutto sarà farsi due

Saremo onde, vertici
e risate
cose che arrivano al compimento
per infrangersi

Saremo notti, moschee
e cattedrali sommerse
dove donne con le unghie laccate
entrano per rinfrescarsi

Saremo insieme, allo zenit
e al nadir della nostra volontà
di ogni volontà

E come fiori di zafferano
ci vorranno milioni
simili a noi
per fare la nostra polvere

autografia

come carta va
la voce
sul viso

come canta
la lingua
a volte
sembra una penna:
crepita

scrivi la storia incendiata
fai scorrere i segni
è giusto anche questo
ma lì
fermati

non cercare
di accostare
ciò che si che nasconde

suturare, dire
certe ferite
le parole non possono

dev’essere anche questa
cicatrice bianca silenziosa
si è anche questo
gemito dietro la porta, lungo
cadere, vetri

05.03.20

Essere qui
è un atto onesto
è prendere forma
e respiro – trovare
una chiave
che apre ogni parola
è trovare il gesto
che prende posto
che prende congedo

Con la testa
indichi il dove
con la mano
tocchi i miei occhi chiusi –
nella tua mano
io sorrido.

Ogni luogo
ha un segreto
che mormora
fra le magre spighe
dei nomi
con cui ci chiamiamo.

05.11.18

A G.R.

Le nostre bocche parlano
l’infinito
lo promettono
l’una all’altra.
Siamo creature di fede.

Amico mio,
è difficile
essere soli anche qui.
Dover tacere
con gli zigomi
serrati dal vento.

Più di questo
i nostri morti
non ci hanno insegnato:
la fede.

Un giorno forse,
un giorno saremo anche noi
poeti

ma per ora
non possiamo altro
che intonare il nostro dolore
a quello piccolo 
delle lagune
delle campane a festa
dell’abbaiare lontano di un cane.
Essere la prova
dell’esistenza del niente
ogni giorno.

Ma un giorno
amico mio
un giorno forse
saremo le luci di San Michele
o quelle sulla punta di una gondola
o di un lampione sulla scala 
per l’Accademia.

Qualcuno guarderà a noi
con poca speranza
con le mani segnate dal tempo.

Noi prenderemo quelle mani
le porteremo al volto
ci piangeremo dentro.

E allora la nostra luce
sarà la luce del cielo
della parola che dice tutto
la piccola prova della nostra fede
ereditata dai morti di ognuno.

Allora qualcuno guarderà a noi
e un giorno,
amico mio,
un giorno forse
saremo poeti
saremo soli
e non sarà più difficile
nemmeno qui.

16.12

Un giorno d’un tratto
anch’io saró
come tutto il resto –
una cosa di niente
una cosa di nessuno
che sta tutta in una mano
del mondo

Ma per ora
continuo a sognare
di venire giù
come il fiume dal monte

di crescere e invadere
tutto col mio respiro
come l’oleandro col lago

di bruciare perenne
come gli occhi della civetta
che si aprono sul tramonto
e lo benedicono con il verso

Un giorno d’un tratto
la poesia prenderà tra le mani
il mio volto stanco
e dirà che questo
è stato abbastanza
e benedirà il mio verso
di congedo

Ma per ora
io continuo a sognare.

17.09.2019

Quante volte ho detto:

questa è la volta buona.

Tre sigarette in fila

il canto del bollitore

la finestra sporca

oscenamente aperta

sul cortile.

Quante volte

ero solo io,

la crudeltà di una giornata

un foglio bianco sul grembo.