quando apro gli occhi mi si aprono le vene

Mese: Maggio, 2013

libertà (#14)

cortina di scaglie il meriggio
farsi ombroso di fronde

con un brusco gesto del capo
s’abbatte la sera
su nuche stordite d’incanto

i suoni nell’aria muggiscono
della verde tinta temporalesca

piegandosi i volti incavati
tintinnano come funebri campanelli
al collo della giumenta-terra
(appendono impavidi fiori)

cozzando a palpebre spente
crolliamo a letto ridendo
come bimbi che il tempo non guarda

e dove passano i bruchi d’infanzia
buchi, nella polpa che siamo..

sgocciola il tempo del verde
del fiore, dell’ultimo abbraccio
dell’umido suolo che sempre
strisciando abbiamo servito

tuona al galoppo il tramonto
su alti stalloni di anelito
ovunque s’abbattono lente
risate, tintinni e un indicibile
desiderio

– ora è il tempo di staccare dal mondo
l’occhio appannato d’insulso
e gettando la lugubre chioma
al vento insegnare il tuo nome:

Libertà, il tisico petto
guariremo a baci inguinali
e cucchiaiate di sogni irridenti
riempiranno ogni voragine – d’altro!

assenza (#13)

nella finestra spiragli
primaverili e lampi di rondine
a colpi di coda
fanno blu il vecchio palazzo
di stanchezza

gli stipiti marciano fracassati
sulle note dell’orchestra di tende
che s’incanta sull’angolo umido
fra baci di polvere oggi

quadri dagli occhi rossi
si sgranano incontrollabili
al vorticoso tempo di latta
degli orologi furibondi

non c’è silenzio
– non è rimasto nemmeno un istante
per sbarrare le porte di ossa
e bussando ai fianchi del letto
implorare un abbraccio di sonno

la lampada il viso nasconde
fra le pallide guance di un libro
– si chiudono palpebre e labbra

scende la notte a rivoli
sulla fronte dell’armadio accostato
e nell’angolo s’accuccia sudato
gemendo fra polvere l’oggi

sui grandi tappeti di malinconia
si rotola inconsolabile
la tua assenza

dieci tortore (#12)

lampi e colore rovesciano
su tegole rotte dell’alto palazzo
ruggine insanguina il muretto
che scavalcano merli azzoppati

dieci tortore muoiono sotto al ponte
bagnate dal tiepido sbavante rigagnolo
un sudario di croste è il corteo
funebre della vecchia venditrice di stracci

appoggiato alla nube più bassa
sta un lurido essere stato
che si getta con artigli d’infanzia
sulle orbite della folla che passa

tra le sue braccia il cuore guaisce
afferrato da costole aguzze
e lacrime sul petto trapassano
polmoni traboccanti d’angoscia

dieci tortore vengono e vanno
tubando arrochite d’inverno
s’aggrappano alle spalle incassate
lasciando ruvidi segni di sangue

lampi e urla si abbattono
sulla gola rotta del pazzo
rogna insanguina il mento
che s’alza azzoppando il singhiozzo

che questo cielo s’abbassi
e venga sconfitto a me incontro..

un pallido tuono ricopre
l’incavo che fa ombra del collo
il ghigno è un vuoto rimuginare
un morbido ratto incespica fra i capelli